Elettra non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Poco dopo l’alba era
sgattaiolata fuori casa per respirare a pieni polmoni l’aria gelida e
pura del mattino. A passi decisi si era allontanata senza conoscere la
sua destinazione.
Aveva camminato a lungo, per quasi tre ore, e
aveva raggiunto il luogo più tranquillo di tutti. La luce timida dei
raggi solari si rifletteva chiara sui marmi, quasi come fossero stati
specchi.
In quell’immensità di luce spiccava la sua figura triste e
scura, che vagava tra le date e i fiori, tra le frasi di commiato ai
cari defunti e i lumini sempre accesi in segno di preghiera. I cipressi
collegavano il cielo con la terra e lei non si sentiva né in terra né
in cielo, ma neppure nella vastità dell’intero universo. Era un buco
nero che avrebbe voluto attirare ogni cosa dentro di sé e poi farla
scomparire per sempre, insieme con il suo dolore.
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