Chi, s’io gridassi, mi udrebbe mai dalle sfere
degli angeli? E se pure d’un tratto
uno mi stringesse al suo cuore: perirei della sua
più forte esistenza. Poiché del terribile il bello
non è che il principio, che ancora noi sopportiamo,
e lo ammiriamo così, ché quieto disdegna
di annientarci. Ogni angelo è tremendo.



mercoledì 4 aprile 2012

Elettra non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Poco dopo l’alba era sgattaiolata fuori casa per respirare a pieni polmoni l’aria gelida e pura del mattino. A passi decisi si era allontanata senza conoscere la sua destinazione.
Aveva camminato a lungo, per quasi tre ore, e aveva raggiunto il luogo più tranquillo di tutti. La luce timida dei raggi solari si rifletteva chiara sui marmi, quasi come fossero stati specchi.
In quell’immensità di luce spiccava la sua figura triste e scura, che vagava tra le date e i fiori, tra le frasi di commiato ai cari defunti e i lumini sempre accesi in segno di preghiera. I cipressi collegavano il cielo con la terra e lei non si sentiva né in terra né in cielo, ma neppure nella vastità dell’intero universo. Era un buco nero che avrebbe voluto attirare ogni cosa dentro di sé e poi farla scomparire per sempre, insieme con il suo dolore.

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